Il “non essere grandi” per molti aspetti è un limite: se compariamo l’azienda-italiana- tipo con il suo competitor, chessò, tedesco (un esempio non a caso, scelto su scala europea), spesso vediamo meno for􀇕a finan􀇕iaria, meno risorse umane da dedicare alle varie funzioni, meno tempo-cultura per le attività di networking e rappresentanza collettiva (associazionismo) e dunque maggiore isolamento eccetera eccetera.

Al contempo, però, come osserva il presidente di Acimga Aldo Peretti nell’intervista di pagina 19, essere piccoli può generare vantaggi. Spesso il piccolo è più dinamico – come mostra la stessa storia recente dell’associazione dei costruttori di macchine – più bisognoso di affermare la propria specificità e quindi orientato all’innovazione, e al tempo stesso più interessato a fare squadra – e qui Peretti accenna a un altro potenziale plus dell’essere piccoli in ambito associativo: se non sei troppo potente puoi svolgere un preziosissimo ruolo di mediatore fra grandi contrapposti, traghettando conflitti e idee verso la composizione in progetti.

Nelle aziende italiane di cui raccontiamo le storie su questo fascicolo – Eurostampa, Imeco, Pro-Gest – vediamo vivere una terza via, o misura, che sprigiona una forza particolare, origina forti vantaggi competitivi e crea uno specifico culturale (parliamo di cultura aziendale e di business) che diventa addirittura oggetto di “esportazione”, come spiega bene Luciano Cillario per Eurostampa. Si tratta di aziende che da un lato sanno sfruttare al meglio le prerogative dell’essere individuati, disponibili, trasparenti, flessibili e totalmente orientati al problem solving. E dall’altro, sviluppano questo modello passo dopo passo, con metodo e serietà, costruendo organizzazioni via via sempre meno piccole e potenzialmente anche molto grandi, ma “diverse”. Invitiamo alla lettura.  

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