Stefano Eleonori, Direttore Industriale di Goglio divisione Cofibox, ragiona sulla qualità della stampa. Come ottenerla? E, soprattutto, come garantirla? Disamina in cinque punti** delle idee (e della prassi) prevalenti, con una proposta controtendenza: iniziare dall’inizio.

** Quella che segue è una libera sintesi ed esposizione di un colloquio informale, articolato e ricco di contenuti, qui ridotto per esigenze redazionali. D’accordo con l’autore, la proponiamo come invito al confronto.

Guardare gli alberi e non vedere il bosco
È inutile isolare un elemento dall’insieme e investirci tempo e denaro per renderlo iper specializzato e iper performante se il risultato a cui si tende dipende da altro – magari proprio dall’insieme da cui si era partiti all’inizio del processo. Questo, in estrema sintesi, l’assunto di base del pensiero di Eleonori, Direttore Industriale in Goglio divisione Cofibox e, in quanto tale, costantemente impegnato a trovare la strada migliore per ottenere il packaging migliore.

«Il tutto nasce dall’idea di base, conscia o inconscia che sia, che ognuno di noi ha dei difetti: il difetto è inevitabile o è prevedibile? Nel primo caso la soluzione è il controllo, nel secondo la prevenzione. A seconda di come ciascuno di noi è orientato, darà vita a organizzazioni diverse con persone che ricoprono ruoli diversi. Credo che si debba tendere alla seconda opzione e cioè a prevenire il difetto piuttosto che a “subirlo”, pur sapendo che la strada è tutta in salita perché parlare di qualità nel contesto del packaging non è così scontato come per altri settori. E i motivi li conosciamo tutti molto bene, non ultimo quello che, riprendendo le parole di Deming, “le specifiche non hanno senso”.  Ma questo è un altro argomento…»

Perché partire dalla fine?
Per garantire al brand owner la consegna di uno stampato che mantenga le promesse di qualità fatte e sottoscritte in sede di contratto, i converter attrezzano le loro macchine con sistemi di controllo sempre più sofisticati.

«La stampa è un processo delicato, con moltissime variabili, che si può ottenere con diverse tecnologie (e relativi pro e molti contro), magari ingegnerizzate a costituire un sistema ibrido. Per controllare il tutto, si mettono in gioco telecamere, sensori, software sempre più sofisticati, interfacce intelligenti e via dicendo, che permettono con precisione crescente di individuare i difetti di stampa e, a fine lavoro, di eliminarli con il minor spreco possibile di materiale (nonché tempo e denaro).»

A fine lavoro. Appunto.

Alimentare la complessità (controlli senza fine)
A fine lavoro non possiamo che intervenire per limitare i danni – il che ovviamente è necessario e lo sarà sempre, perché ad oggi il sistema perfetto, che stampa a zero difetti, non esiste ancora. Ma dobbiamo lavorare per arrivarci.  Evviva, dunque, la Ricerca che sviluppa controlli sempre più precisi, automatizzati, meno dipendenti dalle variabili in gioco, anzitutto quelle umane. Se però ci limitiamo a questo, non facciamo che alimentare all’infinito la complessità e la catena dei controlli: «se al sistema iper sofisticato e di ultima generazione sfugge un difetto, o riconosce dei difetti inesistenti, allora bisognerà controllare il suo operato, e arrivare a un nuovo livello di sicurezza. Ma anche qui, prima o poi, scapperà qualcosa, e occorrerà controllare anche questo nuovo output… eccetera eccetera con un conseguente aumento esponenziale dei costi».

Fa’ la cosa giusta
La cosa migliore da fare non è un mistero. Se non accade è per un insieme di motivi/difficoltà contingenti, che schiacciano la buona volontà dei singoli e chiudono le prospettive di cambiamento. Spesso assumono la forma lamentosa della scusa: “non c’è tempo, non ci sono risorse, gli altri non ci stanno, io vorrei ma…”.

«La “cosa giusta” è recuperare la visione dell’insieme e cercare di evitare l’errore invece di correre ai ripari quando oramai è fatto. Vuol dire esaminare tutti i fattori che concorrono al risultato di stampa, analizzare come agiscono e soprattutto come interagiscono fra di loro, per cercare il modo migliore di farli funzionare. In gioco ci sono inchiostri, cliché, lastre, substrati, macchine (a loro volta fatte di sistemi di registro, tensionamento, trasmissione, essiccazione eccetera) nonché, naturalmente, controlli. E non insegniamo niente a nessuno affermando che è proprio dalla conoscenza dell’interazione fra tutti i parametri in gioco (inchiostri, substrati di stampa, cilindri, rulli gommati, macchina…) che si può governare un processo.»

E più conoscenza abbiamo, meno controlli dobbiamo mettere in campo. E allora perché non dedicarci più cura?

Fornitori e clienti, grandi e piccoli, tecnici e marketer…
In un mondo migliore, dove si lavora bene, si conosce e gestisce perfettamente il processo e quindi si fanno meno errori ci sarà bisogno di meno controlli, i vari attori della filiera si parlano di più e si rendono disponibili a testare l’interazione fra i rispettivi prodotti. Anche quando il produttore di inchiostri è una multinazionale di dimensioni “cosmiche” e il service di incisione una PMI famigliare. Anche quando il produttore di materiali è un gruppo globalizzato tale e quale “l’inchiostraio” e il converter no. Anche quando il costruttore di macchine ha tutti i fornitori di componenti “ai suoi piedi” ed è consapevole del suo potere.

«I più avvertiti lo sanno, indipendentemente dalla loro dimensione e potere di contrattazione: anche il prodotto migliore, utilizzato nel contesto “sbagliato” non dà buona prova di sé

Il futuro sta nel networking e nella collaborazione. Chi lo capisce e ci arriva per primo vince.

Conclusioni (per aprire)
Sinora ci siamo limitati a parlare di un solo aspetto del packaging: quello estetico – se vogliamo il più facile e “sincero” perché visibile in tempo reale. Ma sappiamo bene che i temi sono più numerosi e comprendono argomenti molto più delicati che, passando attraverso le fasi successive alla stampa, arrivano alle prestazioni del prodotto e alla sua conformità legislativa.

«Stiamo vivendo in un’epoca di grandi cambiamenti e, come tale, di grandi possibilità, dove la tecnologia sta facendo passi da gigante, dove i prodotti si stanno dematerializzando trasformandosi in servizi, e questo è già evidente in tanti settori che hanno già colto la sfida e la stanno portando avanti egregiamente. Allora perché invece di continuare a correre come criceti sulla ruota e ad accettare quello che viene proposto in modo “passivo” non ci fermiamo un attimo e ci chiediamo se non sia il caso di mettere in discussione i vecchi paradigmi?»

Fine

P.S.: Come? Sono orami molte le aziende che fanno R&D in stretta collaborazione con gli altri segmenti della filiera? E sono sempre più le aziende che presentano i nuovi prodotti insieme ai partner tecnologici? Sì, lo sappiamo. Ed è davvero un’ottima notizia: nell’era della Rete la parola d’ordine è “condivisione”.