Il balzo del C.A.C. da 5 a 35 euro a tonnellata a partire dal prossimo ottobre potrebbe avere un impatto molto negativo sugli scatolifici, che già attraversano una fase di forte rallentamento della domanda e che hanno di fronte prospettive incerte almeno per tutto il 2023. È questa la preoccupazione dell’’Associazione Italiana Scatolifici, che aveva già espresso la sua posizione
contraria a questo significativo e pressoché immediato incremento del C.A.C. Carta in una nota ufficiale inviata a CONAI l’11 luglio scorso, prima della definizione degli aumenti.

“Ci risulta molto difficile condividere questa scelta in questo particolare momento di mercato”, commenta Andrea Mecarozzi, Presidente dell’Associazione Italiana Scatolifici. “Seguiamo costantemente i lavori di Comieco e i dati di Bilancio presentati durante l’Assemblea di maggio non lasciavano presagire nessun intervento drastico così imminente, anche a fronte di scenari economici in continuo movimento. Chi in questi ultimi anni ha preferito il cartone ad altri materiali lo ha fatto anche in virtù di un contributo ambientale congruo. Una estrema volatilità dello stesso causa necessariamente ulteriore incertezza sul futuro e di conseguenza anche diffidenza verso il materiale che lavoriamo. Oltretutto non vi è al momento nessuna certezza che
la riduzione delle quotazioni del macero ad un valore prossimo allo 0 – uno dei motivi per cui CONAI ritiene necessario un aumento del C.A.C. – si traduca in una proporzionale riduzione dei costi dei materiali che con quel macero vengono prodotti, come i fogli di cartone ondulato. Anche per questo motivo avevamo chiesto a CONAI di rimandare questo aumento almeno al 2024, se non fosse stato proprio possibile evitarlo, quando auspicate stime economiche al rialzo avrebbero potuto renderlo non necessario. La nostra grande preoccupazione è che l’incremento del C.A.C. possa provocare una ulteriore spinta al ribasso della domanda dovuta ad un aumento dei costi degli imballaggi in cartone ondulato, costi che ricadrebbero sulle aziende utilizzatrici e di conseguenza necessariamente anche sul consumatore finale, causando potenzialmente una ulteriore spinta inflattiva e un ulteriore calo dei consumi”, ha concluso Mecarozzi.