Come si crea valore (per i clienti, gli end user, l’ambiente e anche la R&D corporate) con un laboratorio analitico attrezzato con le tecnologie più potenti e gestito da personale competente. Lo scopriamo visitando quello inaugurato da Sun Chemical di recente, con investimenti all’altezza della certificazione di Qualità ISO 9001, per creare prodotti sempre più prestanti e offrire al mercato garanzie di sicurezza a prova di Nias…

Quattro strumenti principali (2 gascromatografi, un GCMS e uno spettrofotometro IR) con i necessari complementi; un team di tecnici super specializzati (e non solo); obiettivi di qualità altissimi, testimoniati dalle certificazioni di qualità ISO 9001, ambientale ISO 14001, di sicurezza OHSAS 18001 e di sicurezza alimentare ISO 22000 del sito italiano (unico ad averla in Europa)… Il rinnovato Laboratorio analitico inaugurato lo scorso 13 settembre da Sun Chemical Group SpA, durante l’evento “Porte Aperte in Sun Chemical” si presenta come struttura “a 4 stelle” capace di condurre tutti i tipi di analisi chimica, a sostegno della sicurezza assoluta garantita dai prodotti della multinazionale degli inchiostri. Ma solo quando siamo andati a visitarlo, guidati dallo staff che lo gestisce con la regia di Egidio Scotini, abbiamo capito qual è la sua portata e perché Sun Chemical Italia ha investito tante risorse per ristrutturarlo e aggiornarne le attrezzature.

Analisi applicate e chimica per la Qualità (e i clienti)

Nei due siti contigui di Sun Chemical a Caleppio di Settala (MI) operano sei laboratori al servizio della R&D, dello sviluppo colore e del controllo qualità. Effettuano dunque formulazione di inchiostri e test di tipo applicativo, inerenti le prestazioni e le caratteristiche dei prodotti – per esempio la scivolosità di una stampa o la viscosità di un inchiostro. Tutti, tranne il nuovo Laboratorio analitico da poco ristrutturato, dove si svolgono le analisi chimiche strumentali che definiscono la natura di un prodotto. Lavora al servizio di tutte le aree di attività – gli altri laboratori, i reparti addetti alla sicurezza dei prodotti e, naturalmente, l’assistenza clienti. Qui lo chiameremo LCA (Laboratorio Chimica Analitica), per brevità. «Dal mercato arriva un numero crescente di richieste – spiega Egidio Scotini – legate alla maggiore complessità dei prodotti, del quadro normativo e, più in generale, della cultura della sicurezza che, per fortuna, cresce. Gli stampatori più piccoli, che dispongono solo dell’attrezzatura di base per le indagini di routine – come la ritenzione solvente, per la verifica dei parametri in macchina da stampa – si appoggiano a noi per le analisi più sofisticate, mentre i meglio equipaggiati possono avere bisogno di una verifica sui risultati poco chiari, o su dubbi di ordine metodologico. Dove noi mettiamo in gioco non solo le migliori attrezzature, ma anche la capacità di usarle al meglio». Per quanto “oggettive” siano le analisi chimiche, sottolinea infatti l’esperto, le certezze non si ottengono schiacciando un bottone e la differenza la fa sempre il “fattore umano” fatto di scelte metodologiche, del saper leggere e contestualizzare i dati, dell’abilità nel tarare e nel mantenere in condizioni ottimali gli strumenti… E, soprattutto nel mondo dell’imballaggio alimentare, i fattori da tenere sotto controllo sono davvero tanti.

I gascromatografi a livelli crescenti di dettaglio

Una parte consistente di analisi in LCA è basata sui gascromatografi (GC) – spiegano Barbara e Annalisa – che permettono di stabilire la composizione solvente di sostanze liquide o stampati. Il più utilizzato è quello per liquidi: solventi, miscele di solventi, inchiostri liquidi eccetera. Il campionatore permette di iniettare in automatico un’aliquota di campione nella “colonna cromatografica” di silice fusa dove un gas ne separa le componenti che vengono poi identificate dal rivelatore FID (Flame ionisation detector). Viene impiegato classicamente per l’analisi delle impurezze nei solventi in ingresso. Il secondo GC è abbinato ad un autocampionatore per spazio di testa e permette di analizzare anche i campioni stampati, anzitutto per misurare quel parametro fondamentale che è la ritenzione solvente, e viene dunque usato anche a supporto dei clienti che non dispongono di strumenti adeguati o necessitano di un confronto sui risultati e/o sui metodi di un test. Il nuovo laboratorio è inoltre dotato di un terzo tipo di gascromatografo: il “gas massa” o GCMS – gascromatografo con spettrometro di massa. Questo strumento, dotato di entrambi i campionatori per liquidi e solidi, opera con un principio diverso – spiega Silvia – ed effettua analisi più sofisticate, in grado di ottenere dati più specifici e qualitativi sui composti presenti in tracce troppo piccole per essere rilevati dagli altri strumenti. La sostanza viene univocamente identificata sulla base del peso molecolare: di solito questa analisi si effettua su materie prime o prodotti nuovi per verificare la presenza di Nias (“sostanze non intenzionalmente aggiunte”) e altri elementi che, oltre un certo limite di migrazione specifico (SLM), potrebbero modificare la composizione o le proprietà organolettiche dell’alimento confezionato.

Lo spettrofotometro IR identifica gli elementi ignoti

Il quarto e più recente acquisto dell’LCA (ha pochi mesi) è uno spettrofotometro a infrarosso di ultima generazione. Mentre le altre macchine si concentrano sulla parte volatile di un campione – un solvente, un additivo… – con l’infrarosso si va a vedere il “solido”. «Effettua l’analisi di un materiale, ad esempio un substrato (di carta, PP, PE o altro) di cui registra lo spettro infrarosso e lo compara a quello più simile archiviato nella libreria, permettendone l’identificazione», spiega Barbara. «Oppure, analizzando un campione di inchiostro colorato, trova la molecola che identifica il pigmento. O, nel caso di miscele (e tutti i nostri prodotti sono miscele di più elementi) ci permette, ad esempio, di capire la natura di una resina – se nitrocellulosa, o poliuretano…». «Inoltre, una parte importante di analisi che abbiamo implementato – aggiunge Annalisa – è quella delle materie prime destinate ai prodotti DFC (direct food contact): non ci accontentiamo di esaminare quanto dichiara il fornitore, di ogni lotto viene accertata l’idoneità». «Diversi strumenti possono dare lo stesso risultato, ma da due punti di vista differenti. E nella chimica analitica la conferma è fondamentale. Non possiamo prendere per buono un dato, così come la diagnosi di un medico si basa su confronto e interpretazione di più dati, ciascuno dei quali, considerato di per sé, non è significativo di una determinata patologia».

Alla fine delle analisi, cosa significa qualità?

Il laboratorio di chimica analitica di Sun Chemical lavora, dunque, per individuare componenti e/o inquinanti di una sostanza, a tutela della salubrità del packaging stampato e del suo contenuto, per garantire la qualità intrinseca di un prodotto, (le cui performances dipendono anche dalla sua purezza, che va dunque verificata). Si concentra inoltre sulla sicurezza dell’operatore e dello stabilimento, prestando attenzione alle possibili contaminazioni fra un’area produttiva e l’altra. Per non parlare dell’attenzione all’ambiente, che chiede di selezionare le materie prime e di produrre manufatti compostabili o riciclabili. Tutto ciò si può riassumere sotto al principio- ombrello della sicurezza: uno dei pilastri dell’operare di Sun Chemical, che la intende a tutto campo come sicurezza degli operatori sul luogo di lavoro (normata dalle ISO 18001), sicurezza ambientale (certificata dalle ISO 14001) e sicurezza alimentare (ISO 22000). «Il nostro – sottolinea Egidio Scotini – è ad oggi il solo sito Sun Chemical in Europa, e uno dei pochi al mondo, ad avere tutte e tre le certificazioni. Sia per la acuta sensibilità della filiale italiana per queste tematiche sia perché siamo tra i pochi, di queste dimensioni, a produrre vernici anche per il contatto diretto con alimenti e prodotti farmaceutici, e su questo non si scherza».