Picchi e cadute della domanda, fluttuazione dei prezzi e della disponibilità di materie prime, crisi finanziarie globali e, magari, un improvviso lockdown fino a data da definirsi. Gestire le crisi si può, condividendo dati in tempo reale lungo tutta la supply chain. Il paradigma Industria 4.0 spiegato da Enzo Baglieri.

Quando imprenditori, manager, consulenti e tecnici parlano di Industria 4.0 si riferiscono di norma a un processo di efficientamento di produzione e servizi tramite determinate tecnologie di raccolta e gestione dati. In realtà questo è solo un aspetto di un paradigma più ampio e potente, che interessa le filiere nella loro interezza, con potenzialità dirompenti a tutti i livelli della gestione d’impresa. Le difficoltà generate dall’emergenza Covid 19 offrono l’occasione per capire come è evoluto questo paradigma nato in Germania nel 2011 per dotare l’economia reale dei requisiti necessari a competere in un mondo in rapido mutamento. E che oggi offre nuovi strumenti per reinventare il modello e l’organizzazione del business in un contesto economico e sociale cambiato all’improvviso, in cui chiarezza e velocità di reazione sono ancor più determinanti. Come spiega Enzo Baglieri, Director of EMBA Programs, SDA Bocconi School of Management.

Professore, qual è il concetto chiave del paradigma Industria 4.0?

Quello di collaborazione fra stakeholder. Il modello Industria 4.0 è nato per raggiungere due obiettivi: massimizzare l’efficienza all’interno delle singole aziende e far sì che questa efficienza si trasferisca all’intero sistema grazie alla connessione e collaborazione di tutti i soggetti della supply chain. L’idea di fondo è che il successo di un prodotto è il risultato di una somma di attività che coinvolgono l’intera filiera. Migliorando e velocizzando la connessione fra i soggetti avremo dunque prodotti più adeguati alle esigenze del mercato, a costi più bassi e più facili da rifasare con sufficiente rapidità ai mutamenti della domanda. Ed è la connessione ossia la condivisione di dati – fattuali, univoci,  chiari – che attiva la collaborazione.

E lo strumento chiave?

Uno degli elementi cruciali di questo sistema è quello che chiamiamo digital twin. È un principio fondante della progettazione 4.0 per cui ad ogni elemento fisico deve corrispondere un elemento digitale, il gemello digitale appunto, che permette di simulare e controllare virtualmente il comportamento dell’oggetto progettato.

In questa duplicità origina la famosa resilienza di cui tutti parliamo e che, soprattutto nei momenti di crisi, è così determinante. Le ragioni sono intuitive: simulare al computer cosa accadrà nella realtà, prima di fare delle scelte e immobilizzare delle risorse, permette di capire molto più rapidamente e senza investimenti onerosi come modificare un prodotto o gestire una situazione complessa. Per questo diciamo che un sistema industriale è più resiliente se è 4.0, ossia digitalizzato e connesso: perché consente di affrontare la volatilità dei sistemi economici adattandosi “in tempo reale” al cambiamento.

Qualche esempio concreto?

L’attualità ne offre molti. Ad esempio la difficoltà a riorientare in tempi utili la catena di fornitura di alimenti (e relativi packaging) per seguire il repentino riallineamento degli acquisti sui beni di prima necessità con qualità e prezzi base. O il ritardo, rispetto all’emergere del bisogno, con cui tanti converter stanno riconvertendo capacità produttiva per rispondere al picco di domanda di mascherine, per poi ritrovarsi, con tutta probabilità, a fronteggiare un domani indefinito un eccesso dell’offerta.

È chiaro che in un sistema 4.0, dove gli input sono generati e si condividono automaticamente fra tutti i soggetti della catena di approvvigionamento, è molto più facile governare anche le variabili inaspettate ed estreme. E che, in generale, i tempi di reazione sono idealmente azzerati. Un po’ come alla ripartenza degli automobilisti fermi al semaforo: se il segnale verde è posto troppo in basso e può essere visto solo dai primi della fila, ciascuno partirà solo quando si muove quello davanti, sommando tanti piccoli ritardi che producono inefficacia. Diversamente, se tutti possono vedere il semaforo la ripartenza è istantanea e collettiva…

Dunque, oltre alla rapidità di trasmissione è determinante l’univocità dell’informazione…

Certo. L’Industria 4.0 condivide dati, generati da macchine e programmi alla fonte dei fenomeni, e non locuzioni da interpretare come «mi servono biscotti “più economici” o packaging “più semplici”». L’interpretazione arriva dopo, quando ciascun imprenditore dovrà decidere come affrontare la situazione, con che prodotti e quali prezzi, approntando strategie e tattiche…

Insomma, automatizzare e condividere non significa togliere spazio alle scelte, uniformare le risposte e magari, come vuole una certa vulgata, allestire il dominio della macchina sull’uomo…

Al contrario! Casomai chiarisce cosa è oggettivo – il dato che descrive una situazione – e cosa è variabile ossia il modo di valutarla. Il sistema 4.0 separa la generazione delle informazioni, che avviene in automatico sulle macchine, dalla loro elaborazione per decidere come modificare un progetto, cambiare con più rapidità un elemento della macchina da stampa o riorientare l’offerta di beni e servizi… Proviamo a immaginare come avremmo potuto gestire, a livello collettivo, questa emergenza sanitaria se avessimo saputo fin da subito chi è sano e chi è malato: i sani non sarebbero stati chiusi a casa e dunque le fabbriche non sarebbero state ferme e gli ospedali non sarebbero stati messi in crisi. E nel cercare la difficile sintesi fra diritto alla salute e diritto al lavoro i politici avrebbero avuto ben altri strumenti decisionali.

Tornando in ambito produttivo?

Laddove le macchine operano in autonomia – ossia con un limitato coinvolgimento di esseri umani nell’attività fisica, un controllo operato a distanza e una simulazione fatta sul digital twin – le fabbriche possono continuare a produrre anche in condizioni di segregazione sociale, perché le persone posso operare a distanza (oltre che svolgere mansioni meno faticose). Inoltre le imprese godono degli altri vantaggi tipici dell’automazione, come la riduzione dei tempi e il miglioramento della precisione di tanti passaggi che, in ultima analisi, si traducono in un aumento della qualità e della produttività.

Parliamo dunque di un paradigma olistico, dove tecnologie e soggetti economici si incontrano su un nuovo e più avanzato livello di sostenibilità. Manca solo l’Ambente…

Tutt’altro! L’Industria 4.0 è, per essenza, la più sostenibile perché dispone delle informazioni necessarie a capire cosa produrre, quando, dove e per chi, e proprio per questo permette di ridurre gli sprechi e gestire le risorse oculatamente. E cos’è la Sostenibilità se non l’equilibrio fra risorse consumate e generate, fra costo e valore, sui tre piani, nessuno escluso, dell’economia, della società e dell’ambente?

Per tornare sull’argomento poco “olistico” della competizione fra soggetti economici, condividere con i concorrenti le informazioni sul mercato non priva la singola impresa di strumenti e occasioni imprescindibili di competizione?

Se bastasse disporre di dati corretti per evitare errori saremmo in un mondo dove la Qualità è frutto di automatismi e le scelte vengono da sé. Al contrario, nelle imprese (così come in politica e in altri ambiti della vita) sono le competenze a fare la differenza. Non è un caso che questa pandemia abbia riportato in auge la figura dell’esperto: è diventato evidente a tutti che, per fare bene, abbiamo bisogno di specialisti in grado di generare e sistematizzare informazioni adeguate. Solo sulla base della conoscenza condivisa prodotta da scienziati, tecnici, persone dotate di solide competenze, si possono sviluppare piani di indirizzo, coordinamento e gestione.

Insomma, partire dalle stesse basi non livella le prestazioni…

Per verificare come la fruizione delle stesse informazioni cambi nei singoli individui basta ripensare alle diverse prestazioni scolastiche degli allievi. O ai tanti casi success stories imprenditoriali fra cui particolarmente coerente con questo nostro discorso la strategia messa in campo da Luxottica per acquisire preziose informazioni sui prezzi dei prodotti al dettaglio dell’occhialeria (Del Vecchio è entrato direttamente nella distribuzione, “costringendo” di fatto i competitor a condividere le proprie strategie di pricing, Ndr).

E nel nostro mondo di stampatori e converter?

Qui il caso è particolarmente interessante perché pionieristico e ha per protagonisti la Federazione Carta e Grafica e le aziende che la costituiscono: produttori di materiali e macchine per la stampa e il converting di imballaggio, e i trasformatori che le usano. Rappresenta l’unico esempio di alleanza istituzionale fra associazioni di imprese che operano come clienti e fornitori sul medesimo mercato, con le ovvie intrinseche tensioni e i potenziali conflitti di interesse. Ed è un esempio interessante di come, condividendo competenze specializzate generate da piattaforme “neutre” (università e enti di ricerca), queste associazioni stiano lavorando insieme con profitto. Dando vita a vari progetti collettivi generano cultura condivisa e mettono i propri associati nelle condizioni di sperimentare direttamente che lo scambio di informazioni – anche su costi, prezzi, canali, mercati – non ostacola negoziazioni, né accordi, né competizione, generando piuttosto una maggiore trasparenza e dunque facilità di business.

È in quest’ambito che stanno maturando le prime esperienze di Industria 4.0 nella filiera del package printing, avviate tre anni fa con un grande lavoro di mappatura e proseguite con le molte azioni formative e i nuovi imminenti seminari dedicati a imprenditori e grandi manager. In questo rinascimento della Specializzazione, infatti, sul senso reale di Industria 4.0 stiamo riscontrando più consapevolezza fra i tecnici e meno proprio fra quegli “strateghi” che ne possono trarre il massimo vantaggio.